Ipermobilità

 

Tutte le società industriali si sforzano per applicare la tecnologia ai problemi causati dalla mobilità fisica in costante aumento. Tuttavia, anche se ottenessimo un sistema di trasporto libero da congestioni e inquinamento, e lavorassimo tutti a casa, dovremmo comunque pagare un prezzo molto alto per la mobilità, dice John Adams, citando esempi dalla Gran Bretagna.

 

 

                Si stanno facendo degli sforzi prodigiosi per risolvere i problemi di congestione e  inquinamento causati dall’aumento della mobilità motorizzata. Supponiamo per un momento che si arrivi ad una soluzione. Immaginate che gli scienziati inventino qualcosa di simile ad un motore a mozione perpetua. Immaginate inoltre che sviluppino un sistema di controllo computerizzato del traffico che aumenti di gran lunga la portata delle esistenti strade, binari, aeroporti. Infine, immaginate un mondo in cui i computer sono alla portata di tutti, l’accesso ad internet ha un costo troppo basso per essere misurato e una mobilità virtuale è promossa come una parte importante della soluzione ai problemi causati dall’eccesso di mobilità fisica.

                Al momento, la gran parte del tempo, del denaro e delle energie organizzative investite per trovare una soluzione ai problemi causati dal trasporto motorizzato è rivolto a in questi “problemi tecnici”. Se avranno successo, ci sarà un ulteriore aumento della mobilità fisica. Motori più efficienti e più puliti alleggeriranno le esistenti costrizioni nello sviluppo del trasporto, rendendolo meno costoso, o togliendo le motivazioni ambientali per la sua restrizione. Sistemi di autostrade intelligenti promettono la riduzione drastica del costo di un viaggio, eliminando tutto il tempo attualmente perso in code. La mobilità virtuale, da una parte capace di ridurre di gran lunga il costo ed il tempo di un viaggio, è più probabile che serva da stimolo a viaggiare di più fisicamente: liberando i pendolari dal loro viaggio quotidiano, incoraggia ad unirsi all’esodo in periferia, dove la maggior parte dei viaggi - ai negozi, a scuola, dal dottore, alla biblioteca, alla posta o da amici - sono più lunghi e per la maggior parte impraticabili coi mezzi pubblici.

                Nel 1950, l’inglese medio viaggiava circa 5 miglia al giorno. Ora viaggia circa 28 miglia, e si prevede che questa cifra raddoppi entro il 2025. Le tendenze di aumento della mobilità virtuale sono strettamente correlate con le tendenze di aumento della mobilità fisica, ma quello di quest’ultima sono di gran lunga maggiori. Il trasporto ed i mezzi di comunicazione consentono la “connessione” con tutti gli altri. Ma l’aumento della velocità di questi mezzi sta avendo delle profonde conseguenze sociali.

                L’unica costrizione al comportamento che la tecnologia non può rimuovere è il numero di ore in un giorno. Al momento in cui ci si distribuisce più in largo, dobbiamo distribuirci più sottilmente. Se passiamo più tempo ad interagire con gli altri a distanza, dobbiamo passare meno tempo con quelli più vicini a casa. Se abbiamo contatto con più persone, siamo obbligati a dedicare minor tempo a ciascuno di essi. In società pedonali di scala minore, società “ipomobili”, tutti conoscono tutti. In società ipermobili, le comunità geografiche  di una volta vengono rimpiazzate da comunità non-spaziali di interesse; passiamo, fisicamente, più tempo con persone che non conosciamo. I vantaggi della mobilità sono ampiamente pubblicizzate. Agli svantaggi viene dedicata minore attenzione. Molte delle caratteristiche sgradite della società ipermobile possono essere immaginate all’istante estrapolando delle tendenze già esistenti.

 

La società sarà più dispersa. Il processo di fusione suburbana accellererà. Muoversi ad alte velocità per lunghe distanze riduce gli spazi. Sono questi viaggi, per strada e aria, che stanno subendo i più grandi aumenti. Camminare e andare in bici, i mezzi di trasporto locali, democratici ed eco-compatibili, sono in forte diminuzione. Anche con motori perpetui a inquinamento zero ci saranno delle conseguenze ambientali negative. Aumenterà la superficie asfaltata per i parcheggi, le ulteriori strade richieste lasceranno delle cicatrici in paesaggi millenari e suddivideranno ulteriormente gli habitat di specie animali in pericolo. Si dovrà trovare spazio per aeroporti nuovi e più grandi. Le parti del mondo valorizzate per la loro tranquillità saranno ulteriormente intaccate.

 

La società sarà più polarizzata. L’aumento della mobilità dell’inglese medio nasconde una divisione crescente tra le persone ricche di mobilità e quelle povere di mobilità. Tutti quelli troppo giovani o troppo anziani o in altro modo non qualificati alla guida saranno lasciati indietro, insieme a tutti quelli troppo poveri per permettersi macchine o biglietti aerei. Essi diventeranno cittadini di seconda classe, dipendenti per la loro mobilità su quel che sarà rimasto del trasporto pubblico o sulla buona volontà di un possessore d’auto. Mentre il mondo fugge quest’ultima ritirandosi nelle periferie, la maggior parte delle distanze diventeranno troppo lunghe per essere fatte a piedi o in bicicletta. Nonostante un incremento di dieci volte del parco macchine mondiale dal 1950 (fino a 500 milioni), il numero di persone che non possiede un’automobile è più che raddoppiato (fino a 5,5 miliardi, per l’esplosione demografica). Inoltre, nonostante l’aumento molto più consistente dei viaggi aerei nello stesso periodo, il numero di persone al mondo che non hanno mai volato è anch’esso aumentato.

 

Il mondo sarà più pericoloso per coloro che non sono in macchina. Ci sarà più metallo (o fibra di carbonio) in movimento. Il fatto che ora vengano uccisi 1/3 dei bambini sulle strade rispetto al 1922, quando c’era pochissimo traffico e un limite di 30 Km/h, non vuol dire che adesso le strade sono tre volte più sicure per i bambini che vi giocano; sono diventate così pericolose che ai bambini non viene più permesso di giocarvi. La riduzione dei pedoni e dei ciclisti continuerà con l’aumento del traffico, e un minor numero di persone cercheranno di attraversare la strada. Questa è una delle ragioni per cui si conosce sempre meno chi abita dell’altro lato della via.

La libertà dei bambini sarà ulteriormente limitata dalle paure dei genitori e la socializzazione dei bambini che giocano in strada sparirà. In Inghilterra solo nel 1971, l’80% dei bambini di 7/8 anni andavano a scuola da soli, non accompagnati da un adulto. Ora non lo fa quasi nessuno; il governo avverte che è irresponsabile lasciare che i bambini escano di casa non accompagnati sotto l’età di 12 anni. I bambini raramente riescono a mischiare indipendentemente con i loro coetanei , imparando ad arrangiarsi senza la supervisione dei genitori - un’esperienza essenziale ai processi di socializzazione.

 

Le persone saranno più grasse e meno in forma. I bambini con “genitori-chauffeur” non hanno più l’abitudine di camminare o andare in bici a scuola, dagli amici o per altre attività. Con la scomparsa del camminare e dell’uso della bici per scopi funzionali, abbiamo meno esercizio all’interno della routine giornaliera, anche se questa tendenza pare compensata dall’aumento nel numero di persone che raggiungono in macchina delle palestre per correre su dei nastri.

 

Il mondo sarà culturalmente meno vario. La McCultura sarà più avanzata. Tom Wolfe descrive il fenomeno nel suo romanzo “A man in full”: “...l’unico modo di renderti conto che stavi lasciando una comunità ed approdandone un’altra era quando gli ipermercati iniziavano a ripetersi e vedevi un’altra Esselunga, un’altra Ipercoop, un’altra Superal, un’altra Conad...” Il turismo è l’industria più in crescita al mondo. Gli scrittori di viaggi spingono i loro lettori ad andare a sciupare le ultime aree intatte rimaste sulla terra, prima che altri li battino sul tempo. Il marciapiede mobile che passa davanti ai Crown Jewels nella Torre di Londra è solo un esempio dell’efficienza fordista che caratterizza il turismo di massa.

 

Il mondo sarà più anonimo e meno conviviale. Meno persone conosceranno i loro vicini. Le comunità organizzate per la vigilanza reciproca (Gated Communities, Neighbourhood Watch), tentativi di ricreare quello che una volta accadeva naturalmente, sono sintomatici della nuova anonimia. Anche quando vivono fisicamente vicini, i ricchi dinamici e i poveri statici vivono in mondi diversi. I poveri, per la loro mancanza di mobilità, sono confinati in prigioni dalle mura invisibili. Sono continuamente sedotti e derisi (al contrario di quelli confinati in prigioni con celle e muri veri) dalla libertà e dal consumo appariscente dei benestanti; Possono sentire i ricchi mentre volano sopra le loro teste, mentre guidano nelle autostrade che attraversano i ghetti, mentre appaiono in televisione, godendo di privilegi che rimangono fuori portata. Per i benestanti, i poveri sono spesso invisibili, perchè tendono a vedere il mondo ad una risoluzione più bassa per l’altezza e la velocità a cui stanno viaggiando.

 

La società sarà più soggetta a criminalità. La crescente antitesi tra avere e non-avere genererà più paura della criminalità. Come per il pericolo sulle strade, questo non si rileva facilmente con le statistiche. Le case vengono meglio difese con porte più spesse, lucchetti più forti e sistemi di allarme più sofisticati. Le persone, e specialmente le donne e i bambini, si ritirano dalle strade e non usano più i mezzi pubblici perché si sentono minacciati; un numero crescente di autisti viaggia con gli sportelli chiusi da dentro. La polizia diventa più intrusiva, con un uso sempre maggiore di telecamere a circuito chiuso e database informatici. Le forze dell’ordine di quartiere che conoscono il proprio vicinato sono sostituite da telecamere intelligenti che leggono targhe e riconoscono volti. La vigilanza high-tech, temuta dai libertari civili, è un costo inevitabile dell’ipermobilità. L’alternativa è una vigilanza inefficace. Se i criminali fanno uso dei moderni mezzi di trasporto, fisici ed elettronici, e la polizia non sta al passo, quest’ultima risulterà impotente.

 

La società sarà meno democratica. Gli individui avranno meno influenza sulle decisioni che governano la loro vita. Espandendoci sempre più in largo e sempre più sottilmente nelle nostre attività sociali ed economiche, l’estensione geografica dell’autorità politica deve espandersi per rimanere in pari con problemi sempre più grandi. Il potere politico migra su per la scala gerarchica dalle autorità locali a Whitehall e Westminster e sempre di più a Bruxelles e a istituzioni non politicamente responsabili come la Banca Mondiale e il WTO. Da nessuna delle due parti degli episodi di Seattle, che vedeva il WTO da una parte e diversi gruppi di manifestanti dall’altra, c’erano istituzioni democraticamente responsabili: Greenpeace e Amici della Terra non sono democrazie. La fiducia in queste istituzioni diminuisce mentre le loro argomentazioni diventano sempre più difficili da distinguere da chiacchiere senza sostanza. Nel filone della fantascienza che contempla un futuro nel quale la distanza è stata conquistata, non c’è un solo esempio di democrazia.

                Le tendenze che creano il mondo descritto sopra non stanno incontrando nessuna resistenza effettiva. Al contrario, sono incoraggiate da governi dappertutto. In Inghilterra la pianificazione degli aeroporti continua ad essere basata sul principio di “prevedi e provvedi” e viene previsto un grosso aumento. I pianificatori si assicurano a vicenda sul potenziale sviluppo della loro industria con l’argomento che la maggior parte delle persone nel mondo non hanno mai viaggiato in aereo. L’idea che questa crescita possa essere limitata dal loro insuccesso nel provvedere una sufficiente capacità aeroportuale è, per loro, impensabile.

                Il governo inglese ha abbandonato la pretesa di ridurre la propria dipendenza nazionale sull’automobile. Gus Macdondald, il nuovo ministro dei trasporti, è dichiaratamente in favore di un aumento in questo senso: “Se le auto sono più a buon mercato e più persone ne vogliono possedere, questo non è un problema.” Egli si piazza con forza nel campo delle soluzioni tecniche: “Motori più puliti sono il futuro”. John Redwood, ex-portavoce dei trasporti del partito conservatore, per non perdersi il voto dei motoristi, ha incoraggiato la costruzione di più strade “per aggirare paesi ecosensibili, villaggi o luoghi di interesse paesaggistico”, dimenticando che difficile trovare aree “insensibili” da questo punto di vista dove costruire.

                Quale sarebbe la caratteristica principale di una direttiva con l’obiettivo di aumentare la dipendenza sull’automobile? Incoraggerebbe la gente a vivere fuori città, in centri con una densità troppo bassa per giustificare il trasporto pubblico. Nel governo precedente questa direttiva ebbe un incredibile successo: uno studio del Town and Country Planning Association riporta la perdita di 500.000 posti di lavoro urbani e un aumento di posti in aree a bassa densità di 1,7 milioni tra il 1981 e il 1996.

                Una direttiva che avesse lo scopo di ridurre la dipendenza sull’auto cercherebbe di limitare il traffico nelle aree dove esso è maggiormente in crescita: non in zone urbane congestionate, dove si è già stabilizzata, ma nelle periferie ed oltre. Dei consulenti privati ora offrono i loro servigi per la rilocazione fuori città. Questa equivalente free-enterprise della vecchia Location Offices Buroeau è una risposta di mercato agli addizionali incentivi separatisti ora messi a punto dal governo Labour: strade urbane a pagamento e parcheggi di lavoro a pagamento. Il vice-primo ministro John Prescott insiste che non è anti-auto e per dimostrarlo possiede due Jaguar. Egli, come il suo ministro dei trasporti, è felice che più persone abbiano un’auto, ma ogni tanto dichiara che dovrebbero lascarle parcheggiate più spesso. Forse dovrebbe sostituire il suo programma di costruzione di strade con un programma di costruzione di parcheggi.

                La vendita di auto in Gran Bretagna per il 1999 è stimata a 2,2 milioni - se parcheggiati una davanti all’altra, formerebbero una coda di più di 8000 miglia. Quando la gente compra un’auto cerca dove poterla guidare e parcheggiare: una cosa sempre più difficile nelle città inglesi. Se il parco macchine nazionale continua ad aumentare come predetto, l’esodo dalle città continuerà e la dipendenza sull’auto aumenterà. D’altro canto delle alternative all’auto ce le possiamo permettere. Non c’è scarsità di fondi. Una nuova auto costa in media 12.500 sterline, per un totale di 27,5 miliardi di sterline. Nei passati 5 anni sono stati venduti 10 milioni di auto nuove. La sfida è quella di deviare i vasti fiumi di denaro privato disponibili per il trasporto in dei canali più benigni.

                A peggiorare la situazione c’è la promozione entusiasta di internet. L’idea che questo aiuterà a risolvere i problemi del trasporto, ovviando al bisogno del trasporto fisico, si basa sulla disgiunzione tra le tendenze del trasporto fisico e virtuale, per il quale non ci sono precedenti. Storicamente le tendenze di crescita dei due tipi di mobilità sono state strettamente correlate: le società con maggiore mobilità fisica sono quelle che fanno maggiore uso di telecomunicazioni.

                I promotori delle I.T. come parte della soluzione ai problemi di trasporto, dicono che i nuovi mezzi ravviveranno le comunità riportandole a misura d’uomo e permettendo a più persone di lavorare da casa, di passarvi più tempo e di conoscere meglio i vicini; forse. Ma questo presume che la gente si accontenterà di passare un un periodo di tempo sempre minore nel mondo reale che vivranno direttamente, e un periodo di tempo crescente in comunità virtuali che vivranno elettronicamente. Si presume che la gente non vorrà incontrarsi e dare la mano ad amici che incontra su internet; che non cercherà un’esperienza diretta delle diverse culture che ha conosciuto indirettamente (elettronicamente); e che non desidererà prendere un caffé in compagnia diretta dei colleghi. Si immaginano molte cose per le quali per ora non c’è molta evidenza.

                Lasciate che vi dia una prova di evidenza scoraggiante, seppure aneddotica, da un incontro all’aeroporto di Vancouver, nell’attesa del volo. Iniziai a chiacchierare con la persona accanto a me. Stava aspettando un volo per Toronto per una partita di bridge con una persona di Toronto, una della Scozia e una di San Francisco. Si erano incontrati e avevano giocato su internet; ora desideravano una partita vera.

                In “Chi ha ucciso l’America civile”, Robert Putnam (Prospect, marzo 1996) commenta il declino della vita sociale americana e conclude, dopo aver considerato varie alternative, che la colpa principale è della televisione. Egli osserva che “la rivoluzione elettronica nella tecnologia della comunicazione è la prima grande innovazione tecnologica da secoli che ha avuto l’effetto di decentralizzare e frammentare la società e la cultura”. Curiosamente, la sua lista di potenziali colpevoli non include la macchina e l’aeroplano, e l’influenza decentralizzante e frammentatrice per le quali sono responsabili. Una diagnosi più convincente dividerebbe più equamente la colpa tra le rivoluzioni nel trasporto e nelle comunicazioni.

                Storicamente, la maggior parte delle persone nella maggior parte dei paesi hanno vissuto delle vite pedonali. La loro distribuzione e i loro viaggi sono stati quindi assai limitati. I veicoli esistenti usavano l’energia umana, animale o quella del vento. I ricchi avevano una maggiore mobilità dei poveri, ma nessuno dei due ne aveva molta. Storie di tappeti volanti, stivali delle sette leghe, carrozze alate e simili attestano il desiderio di una maggiore mobilità, ma in età tecnologicamente poco produttive la gente si rassegnava che queste meraviglie rimanessero una prerogativa degli dei. Infatti, la leggenda di Icaro suggerisce che l’idea che la possibilità dei mortali di ottenere questi mezzi di trasporto sia empia.

                A un tempo più o meno coincidente con l’inizio della rivoluzione industriale in Inghilterra, ci fu un’epoca di incredibili riduzioni nei costi del trasporto e un assai più incredibile aumento nella loro velocità e comodità, e nel numero di persone che li usavano. Le imprese degli dei sono state sorpassate. Il Concorde può volare più velocemente del carro fiammante di Apollo, e gli sviluppi nelle telecomunicazioni hanno creato una capacità di scambio di informazioni che supera di gran lunga qualsiasi impresa mai portata a termine da Mercurio. La storia della comunicazione e del trasporto di questo periodo è quasi sempre raccontata come una storia del progresso in una scia di innovazione tecnologica. Qualsiasi problema associato a questo progresso è stato visto come un effetto collaterale, da rimediare con altra tecnologia. L’ipomobilità era male. Più mobilità era bene. E l’ipermobilità? E’ forse possibile avere troppo di questa buona cosa? Questa questione non è stata considerata seriamente dagli storici del trasporto, né dai progettisti  e dai politici interessati al suo futuro. Con un solo accenno al problema si rischia di essere etichettati come nemici della libertà di scelta.

                Questo rischio può essere ridotto se si pone la domanda in maniera diversa. Il “problema del trasporto” può essere mostrato con efficacia ponendo tre domande in tre questionari indipendenti. La prima domanda viene chiesta con frequenza: vorreste voi una macchina, ore di volo illimitate e il livello di accesso alla comunicazione elettronica pari a quello di Bill Gates? Con piccole varianti questa domanda viene chiesta frequentemente nei sondaggi. A livello mondiale, la risposta è in maggioranza un SI’. Questo è il test implicito che regola il progetto politico per la pianificazione dei trasporti quasi dappertutto.  Rispondendo a questa domanda, la gente immagina il mondo come è adesso, ma con la capacità di avere accesso a un maggior numero di opportunità di cui godono i ricchi. Molti politici credono che sarebbe un suicidio politico resistere a tali aspirazioni. Sarebbe anche visibilmente ingiusto, aggiungono spesso, tirare via la scala da sotto i piedi di chi già gode di un alto livello di mobilità.

                Ma c’è una seconda domanda, che non viene mai formulata. Vorresti vivere in un mondo che risulterebbe se questo desiderio fosse concesso a tutti? Per aiutare a rispondere si potrebbe riformulare la domanda: vorresti vivere in un mondo che è una serra di gas di scarico, pericolosa, brutta, squallida, oppressa dalla criminalità, alienata, anonima, non-democratica, socialmente polarizzata? La “serra di gas di scarico” è un optional: ho un forte sospetto che la tecnologia non si terrà al passo con l’aumento del traffico e che l’ambiente fisico si deteriorerà mentre aumenta il livello di mobilità, ma anche  limitandoci alle sole conseguenze sociali dell’ipermobilità si dovrebbe arrivare ad una risposta negativa. Questa domanda chiede, effettivamente: vorresti subire le conseguenze dell’attuale progresso? Mentre questi risultati sono evidenziati da più persone, molti di più sono sicuri di non volerle. Ma la risposta politica è stata deludente. Il meglio che hanno potuto ottenere anche stati progressisti come Danimarca e Olanda è un rallentamento della crescita del traffico nelle aree urbane, mentre poco viene fatto per la crescita del traffico nelle periferie e nelle aree rurali, e non viene fatto assolutamente niente per fermare la rapida crescita del trasporto aereo.

            Il nuovo ministro dei trasporti britannico descrive la continua crescita del traffico come “inevitabile” - ignorando allegramente il fatto che quelli sugli scalini più bassi della scala sociale vengono ulteriormente spinti verso l’esclusione. La difficoltà politica sembra essere che il problema, quando presentato nella forma della seconda domanda, implica il bisogno di un severo, grigio, virtuoso ascetismo per salvare il pianeta. Questa non è una piattaforma politica dalla quale molti politici sono disposti a lanciare una campagna.

                Ma c’è una terza domanda, più positiva; l’esatto contrario della seconda. Vorresti vivere in un mondo più pulito, più sicuro, più salutare, più amichevole, più bello, più democratico, più sostenibile, nel quale conosci i tuoi vicini ed è possibile per i tuoi bambini di giocare in strada? Se questi premi potessero essere raccolti in un pacchetto convincente e abbordabile, si potrebbe aspettare che molti lo votino - specialmente se come alternativa fossero viste le conseguenze della seconda domanda.

                Per la maggior parte della gente, la possibilità di realizzare le aspirazioni raccolte nella prima domanda stanno svanendo. Ma fino a quando continua ad essere il principale obiettivo dei pianificatori dei trasporti e dei politici, il triste scenario della seconda domanda sarà più probabile. Comunque, al contrario delle dichiarazioni del ministro dei trasporti, l’aumento del traffico non è inevitabile. La marea del traffico non è un’inarrestabile forza della natura come quella di un oceano. E’ la conseguenza di una miriade di decisioni umane, piccole e grandi: di decisioni governative su tasse e finanziamenti, sulla pianificazione del territorio, sulla costruzione di strade e aeroporti, e di risposte individuali a queste decisioni. E’ la conseguenza di una visione radicata del progresso che nega la realtà delle cose.

                La prima domanda è come chiedere a un goloso se vorrebbe quantità illimitate del suo cibo e della sua bevanda preferiti. La risposta è prevedibile. La seconda domanda avverte il goloso delle conseguenze di un’indulgenza senza limiti. Ci sono soluzioni, costose e high-tech, a queste conseguenze: liposoluzione, Olestra (il grasso-non-grasso che scivola via) e chirurgia bypass. Ma mangiare meno e andare a lavoro a piedi o in bicicletta sono probabilmente delle soluzioni più appropriate, più economiche e portatrici di un maggiore benessere e autostima.

                Ottenere la società descritta nella terza domanda, che appare impossibile alla maggioranza dei politici, è in principio abbastastanza semplice, richiede una riformulazione di priorità. Invece di continuare a sacrificare l’ambiente fisico e sociale per una maggiore mobilità, richiede una valorizzazione del locale al di sopra di alcuni dei benifici della mobilità, per proteggere e incoraggiare quello a cui diamo valore nella natura e nelle relazioni con i nostri amici e i nostri vicini. Mettere in dubbio i benefici dell’ipermobilità non vuol dire negare una libertà di scelta, significa chiedere alla gente che cosa vuole veramente, e di informarla con chiarezza che le loro decisioni hanno delle conseguenze che vanno al di là dei primari oggetti dei loro desideri.

 

JOHN ADAMS è professore di geografia all’University College London. Questo articolo è basato su uno pezzo che Adams scrisse per il OECD, dal titolo “Le implicazioni sociali dell’ipermobilità” (è disponibile su <www.geog.ucl.ac.uk/~jadams/publish.htm>) Questa versione è stata pubblicata su “Prospect”, Londra, Marzo 2000. La traduzione dall’inglese è di Nicholas Bawtree (alberoinquieto@yahoo.com)